Culo di gomma

realizzato all’interno del progetto PERDUTAMENTE | teatro di Roma

drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
con estratti dalla lettera luterana I giovani infelici di Pier Paolo Pasolini
musica dal vivo Luca Tilli
regia Francesca Macrì
con Andrea Trapani, Mirtilla Durante, Clelia Scarpellini, Giulia Biagi, Alex Velini, Mauro Fortunato, Paolo Leccisotto, Erica Galante, Federico Prignano
anno di produzione 2012

Perché l’adolescenza è insieme un’alba e un addio. Perché è un non ritorno. È una possibilità infinita. E un inciampo, di cui non riesci a vedere l’origine. È una parola interrotta che cerca una via per scorrere fluida. E non può trovarla. Rimane lì. Chiusa in uno spazio/tempo claustrofobico e ingenuamente eccitante. Una moltitudine di sedici-diciassettenni provenienti da svariate scuole romane hanno abitato il teatro India di Roma da ottobre a dicembre 2012 per costruire un progetto che parli di loro attraverso loro, a partire da loro. Che racconti la distanza, la lontananza, la perdita, il lutto di un mondo dei grandi che non ha spesso il tempo né lo spazio né il desiderio di avvicinarsi e di ascoltare. Un mondo che si perde, un mondo così abituato e avvezzo a perdersi da non accorgersi di ciò che accade pochi metri più in là. E pochi metri più in là, a diciassette anni, qualcuno volta le spalle alla vita con la stessa energia o la stessa apatia con cui ascolterebbe la musica, a capo chino – cuffie nelle orecchie – il cappuccio in testa, con cui giocherebbe alla playstation o correrebbe in motorino. E a guardarli da lontano tornano in mente proprio le parole di Rimbaud: No, non si può essere seri a diciassette anni.

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Ma perdersi è anche sorprendersi e Culo di Gomma è riuscito nell’intento. Un allestimento interessante, sapiente, per la regia di Francesca Macrì, che trae spunto da Pier Paolo Pasolini, la lettera luterana I giovani infelici che sembra tutto quanto si possa dire o pensare sull’età inquieta, l’adolescenza. Otto giovanissimi protagonisti reiterano un dialogo insulso e si mostrano tanto abulici e disfattisti, quanto freschi nelle loro speranze ingenue verso il futuro e furenti di rabbia contro l’indifferenza di genitori che voltano le spalle mostrando i loro “culi di gomma”. Uno spaccato di vita quasi indecente per il suo realismo, raggiunto anche grazie agli interpreti non professionisti. (…) Finiscono la sequenza e ricominciano nello stesso identico modo, come si fa con un filmato su Youtube. (…) Ogni persona, ogni elemento è valorizzato e armonico per merito dell’ottima regia.
Alfredo Agostini,  persinsala


Ho frequentato Perdutamente in modo sporadico. E dunque ho perso lo sguardo d’insieme. Focalizzo le mie sensazioni su un titolo: Culo di gomma. Studio firmato da Francesca Macrì e Andrea Trapani (anche in scena come voce recitante) e interpretato da otto giovanissimi attori non professionisti, reclutati in alcune scuole superiori della capitale. Si parla di adolescenza attraverso i corpi, i gesti, gli sguardi, l’incedere maldestro degli adolescenti. Si disegna la lenta agonia dei loro pensieri. Si assiste allo sballo che frantuma la vita. Si cade nel silenzio accorto della loro partitura fisica studiata nei dettagli. Il tempo rallenta, si slabbra nella ripetizione, che è poi una variazione, mentre una suite di Bach accompagna la fragranza instabile dei loro sogni, delle loro energie, dei loro desideri di fuga. Le parole di Pasolini – padre tenebroso e veggente – danno loro un afflato poetico e trascinano in un sempre il loro stato di nuvole, ma forse non rendono ragione alla loro potenza. Si scava dentro, si va in profondità. Nella perdita di un’età maledetta, nell’ingordigia di essere grandi. Ma c’è qualcosa di bello nella tragedia che li attende. C’è una sfida. E forse questa sfida sta proprio nell’aver avvicinato la scuola. Nell’aver confuso realtà e finzione, sé reale e sé ideale, talmente bene da risultare educativa e teatrale insieme. Fugato il rischio del saggio. Resta un’opera, uno spaccato poetico, una dimensione altra così ancorata al reale.
Laura Novelli,  Teatro e critica


Otto adolescenti siedono di fianco, al pubblico orizzontali in una scena spesso verticale. Dietro di loro il Culo di gomma di Biancofango non li protegge da un compito progressivo e feroce: «Qualcosa di nuovo possiamo anche notarlo no? Quel che non si vede si può anche inventarlo». Già. A chi parlano questi ragazzi se non alla comunità di cui non fanno parte e che gli muore accanto? È in loro la vita, direbbe e dice ancora Pasolini. La loro vitalità non è disperata ma germinale, sudata, semmai disinnescata per eccesso di cariche e non per difetto, non più secca negli sfiati lenti del poeta ma umida di una saliva che vanno ansimando via. Diciotto artisti sono qui (al teatro India, a Perdutamente) per perdere qualcosa, chissà se otto “giovani infelici” cancelleranno le colpe dei padri e magari, in queste sale perdute, avranno trovato qualcosa
Simone Nebbia,  Teatro e critica


La compagnia Biancofango ha scelto di lavorare con un gruppo di adolescenti, che hanno seguito un laboratorio durato un paio di mesi. Ma il loro lavoro, oltre che con gli adolescenti, è sugli adolescenti. A partire da un’immagine molto netta di conflittualità e durezza usata come scorza per affrontare il mondo. Otto tra ragazze e ragazzi, in un’età compresa tra i sedici e i diciotto anni, allestiscono una scena che potrebbe avvenire in una qualunque città, su un muretto, dove i ragazzi si trattano tra loro con la sfrontatezza e la ruvidezza proprie di quel periodo in cui si vuole marcare il proprio distacco dal mondo dell’infanzia, ricorrendo a volte a un cinismo di cui non si conosce il confine. (…) La scena si ripete identica a sé stessa per ben tre volte, come un déjà vu, come una spirale dalla quale non si può uscire, inframezzata dalle note del preludio alle suite per violoncello di Bach, eseguite con maestria da Luca Tilli prima in modo lentissimo e poi con cadenza, quasi fosse quella la musica da discoteca che uno degli adolescenti scatta a ballare, più che per vero divertimento, per infastidire gli altri. L’altro elemento esterno sono le parole di Pasolini sulle colpe dei padri che ricadono nella mutazione antropologica dei figli – recitate con un veemente sussurrato da Andrea Trapani, di spalle, al microfono, avvolto in un cappotto, quasi fosse un’ombra, l’ombra di un presagio oscuro che aleggia su questa scena di banale quotidianità che, già dal controluce, sembra fin da subito gravida di tragedia. (…)
Graziano Graziani,  graziano graziani blog e paese sera


Biancofango, Andrea Trapani e Francesca Macrì, correlano otto diciassettenni, un violoncellista che accorda Bach ed un testo che fa affiorare le criticità tra l’essere genitori e l’essere figlio, l’incomprensibilità dei due ruoli, lo scontro in atto, la mancanza di visuale periferica dei giovani, di ideali, di prospettiva, di futuro. Anche questi sono perdutamente perduti. La luce alla fine del tunnel non si vede, la deriva, il disagio, la maleducazione, lo spleen, il mal di vivere, quando a vivere ancora non hai cominciato. Trapani dostojeskiano, la dinamica dei ragazzini sulla panchina che fa sempre noia ed attesa godotiana (c’è ritmo nella loro scena ripetuta tre volte) è riccifortesca con una sezione collettiva ed una distaccata ed in solitaria al microfono con racconti, appunti e squarci d’autobiografismo post adolescenziale contro questa “porca città” (l’ultima piece dei Biancofango aveva il titolo di “Porcomondo”), contro il “culo di gomma” (titolo della performance), ovvero i senatori, gli adulti, gli anziani che se ne stanno comodi ed al calduccio a prendere decisioni alla scrivania della società. Mancano i modelli educativi, ma non mancano gli “I like” facebookiani in un affresco liquido poetico e lacerante.
Tommaso Chimenti,  corriere nazionale


(…) Otto adolescenti popolano “Culo di Gomma ovvero la perdita dei Padri”, il progetto che la Compagnia Biancofango presenta nella sua residenza al Teatro India. Partono dalla platea indistinta e conquistano la scena posizionandosi su due panche di legno attigue. L’uno accanto all’altro, spalla contro spalla, si osservano e si stuzzicano, s’ignorano e si pavoneggiano, in una sequenza ripetuta di azioni che ogni volta sfocia in una confessione al microfono, sotto lo sguardo attento di un regista-mentore che ne accompagna le parole, come la musica del violoncello suonato dal vivo appena davanti il proscenio. Sembrano tutti uguali a guardarli così, con un solo colpo d’occhio, questi giovani protagonisti, visi stralunati in fisicità spavalde e impacciate, a condividere ognuno la propria personale insofferenza. Per un mondo di adulti che non ha più orecchie per loro, per una realtà di grigiore reiterato da colorare con colpi di testa e ragazzate notturne. E per padri che, dimenticando di essere stati a loro volta figli, sanno solo voltare le spalle e scrutare da lontano i loro mille modi di affrontare la vita.
Valentina De Simone,   che teatro fa (la Repubblica)