La spallata

liberamente ispirato a uno solo fra i ‘Ricordi del Sottosuolo’ di F. Dostoevskij

drammaturgia e regia Francesca Macrì e Andrea Trapani
disegno luci: Mirco Maria Coletti
con Lorenzo Acquaviva e Andrea Trapani
anno di produzione 2007

Due uomini s’incrociano. Si guardano, si notano.
Uno di loro sarà ossessionato da quello sguardo e con estrema difficoltà se ne libererà.
L’altro ci passerà sopra. Come un’inezia. Una nullità.
Due uomini s’incrociano. Si guardano e si notano nei pressi di un trampolino di una piscina molto nota. Uno si butterà, con grazia leggendaria e sfrontatezza da brividi. Si esibirà in una serie di piroette, indici di un’abilità che va ben oltre l’atletismo. L’altro, incapace di buttarsi, straziato da un vuoto che riesce a percepire solo per sentito dire, guarda alla ricerca di un coraggio che non arriva mai.
I due non si parlano. Eppure comunicano. Non si conoscono. Eppure i loro gesti parlano fra loro. Forniscono nomi e cognomi.  Non dovrebbero vedersi più. Non avrebbero dovuto vedersi mai. Invece, scatta l’ossessione, l’incubo, lo squilibrio mentale forse. Uno cammina e l’altro insegue, col desiderio catartico e mai realizzato di essere, una volta tanto, inseguito, invidiato e stimato.
Così, nella riscrittura e nel lavoro sulla scena, abbiamo immaginato il Sottosuolo e l’Ufficiale di Dostoevskij. Due luoghi li caratterizzano: la piscina, il luogo dell’antefatto, dello scatenamento dell’ossessione, e la strada. Vittima e carnefice di se stesso, il Sottosuolo, attratto dalla figura dell’Ufficiale, che neppure si accorge della sua esistenza, si lancerà in un inseguimento donchisciottesco ed escogiterà una vendetta da one man show: la spallata.
Cerca dunque, sulla strada, di essere come l’Ufficiale, come gli altri e di affrontare di petto, anzi di spalla, il suo disagio, la sua esclusione. Tenta disperatamente. Ma tentare non è essere. La strada è il momento del passeggio, della vita che scorre, dei passanti che la abitano e che la posseggono anche se solo per un pomeriggio. Due linee bianche parallele la delimitano. Dentro di esse significa essere in un quadro, un quadro di persone che hanno fretta, che fanno compere, che mangiano un gelato, che guardano seduti su una panchina… un quadro di persone che vanno e vengono, ma raramente si fermano. Fuori dalla strada c’è tutto un altro mondo, oltrepassata la linea bianca ci sono i negozi dove far compere di giorno, ci sono le case delle persone che illuminano dalle loro finestre la strada anche di notte, e di notte, superata la strada, ci sono le puttane, le donne di tutti, anche di quelli che non riescono ad averne una.
Il Sottosuolo non abita nessun posto. Non è sulla strada. Non è fuori dalla strada. Le luci dei lampioni ci sembra che di notte lo illuminino come un’anomalia, la più grottesca, indecente e bizzarra anomalia.

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Bisogna esser bravi a fare teatro con una linea bianca e una panchina. Molto bravi. Il vuoto può far crescere la vertigine in un attimo. Eppure tutta la drammaturgia dei Biancofango da Roma si regge su questi semplicissimi accenni scenici, semantici più di mille parole, sempre simbolici. E ne viene così imbastita una trilogia. (…) Più corposo La spallata, ovvero l’incrociarsi di sguardi fra un ragazzotto che la vita la possiede e un uomo senza qualità, invisibile, che da quell’incontro esce rivoluzionato. Sarà possibile? Dialogo silenzioso, d’esistenze non tangenti.
Diego Vincenti, Hystrio


Portare in scena l’inettitudine senza scadere nel ridicolo, veicolando con perizia grottesco, onirico e senso di rivalsa, ed in più farlo con l’eleganza della precisione scenica, senza titubanze, sottolineando i contrasti esistenziali dei personaggi, significa solo una cosa: profonda ed appassionata conoscenza della propria arte. (…) Disperatamente attuale è la ricerca del senso e delle conseguenze, quasi sempre dannose per se stessi, del fallimento personale, dell’in-attitudine a vivere, del confronto con l’Altro diverso sa sé. (…) Sarebbe bastato Dostoevskij a rendere godibile lo spettacolo: ma il plusvalore è tutto nella sua realizzazione, nella violenza espressiva quasi perforante di Andrea Trapani, nella struggente espressività di Lorenzo Acquaviva, superbo sottosuolo, nella regia robusta e puntuale di Francesca Macrì. Assolutamente imperdibile.
Rossella Barsali, caserta musica arte


Nei dintorni dell’inettitudine: linea bianca + panchina è il titolo della trilogia che la giovane formazione teatrale Biancofango sta inseguendo ormai da due anni. Fin qui In punta di piedi e La spallata, la terza parte è ancora senza titolo. (…) È il sottosuolo raccordo dai Ricordi di Dostoevskij, e vissuto con sofferta e grottesca maestria da Lorenzo Acquaviva, a tentare, con La spallata al vincente mediocre Trapani, di riprendersi quello che per ognuno è di diritto, la propria speranza di vita. Realizzandola, non rappresenterà per il rivale niente di più di una trascurabile folata di venticello. Guardando nell’abisso, l’abisso guarda in te ci ricordava Nietzsche. Biancofango ci invita ad osservare.
Giacomo D’Alelio , Liberazione


Il dolce e l’amaro. Contrappunto di una sensibilità macchiata, ferita, stropicciata che cerca di proteggere se stessa, ma che in definitiva non può che essere vittima degli altri e di sé. Così tra l’ironia e il gioco, l’evocazione scenica – protagonista delle scelte registiche di questo spettacolo – ci proietta in una dimensione altalenante, in una tensione continua rivolta al momento catartico, in cui la rivincita, la vendetta si dovrà compiere. (…) La drammaturgia a singhiozzo di frasi spezzate e ripetute, di frasi cariche di sottotesto è tutta tesa a riprodurre un parlato che non tende mai a ad essere prosastico e verboso, ma che riproduce la poesia del reale. Perfino quando si ricorre al dialetto si ha sempre la giusta sospensione, il ritmo misurato e calibrato della parola, di frasi brevi, di sottrazioni che nascondono altri pensieri. 
Anita Miotto, Kult Underground


Come musicanti che eseguono una partitura in due movimenti, due attori intrattengono ognuno un assolo dell’anima, uniti e slegati nello stesso tempo. (…) La spallata liberamente ispirato ai Ricordi del sottosuolo di Dostoevskij, mette in scena il “fuori” e il “dentro”, codificando al maschile un teatrale duello, quello per l’appartenenza ad una causa o per la sua totale sconfessione, pieno di tensione emotiva. (…) Oscillando sulla sperficie di una piscina, o dietro le pendici di un’esistenza senza picchi, si alternano le fasi lunari dei personaggi che la regia di Francesca Macrì e Andrea Trapani fa muovere con grande sensibilità ed apertura mentale, intelligenza ed inventiva. (…) 
Alessio Noce, Persi in sala